Sulle colline tra Firenze e Siena il connubio tra paesaggio, architettura e agricoltura ha radici profonde. Le ville, i cipressi, gli ulivi, le vigne e i boschi compongono un quadro di rara bellezza. In questo scenario senza tempo, da cui in passato si traevano i raccolti necessari al sostentamento delle famiglie contadine, le vigne, in genere di proprietà di facoltosi forestieri, rivestono oggi valli e colline.
Tutto il Chianti è DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), ma i Chianti sono diversi, ognuno con proprie caratteristiche legate al proprio territorio e ai metodi di produzione. L’uvaggio è sempre lo stesso ma variano le percentuali: Sangiovese (75-90%), Canaiolo (5-10%), e Malvasia del Chianti (5-10%), la composizione perfetta scoperta nel XIX secolo dal barone Ricasoli, a cui più tardi si è aggiunto il Trebbiano Toscano. La tradizione è talmente radicata che i produttori toscani piantano le viti delle diverse uve insieme, già nella giusta proporzione che servirà a fare il vino.
La coltivazione, ad archetto toscano, deve molto al terreno costituito dal galestro che, poroso e permeabile, non permette il ristagno dell’acqua vicino alle radici. In autunno, dopo la vendemmia, può accadere di vedere ancora alcuni grappoli sulle piante: è il segno della pratica del “governo”, sopravvissuta ai secoli, che consiste nell’aggiungere al vino fermentato del mosto fresco di uva passita, che fa riprendere la fermentazione, in modo che gli zuccheri vengano completamente trasformati in alcol. Tale operazione ha lo scopo di ottenere un vino secco e stabile. Dopo la fermentazione, il vino rimane ad affinarsi fino a marzo in vasche di acciaio o cemento e, una volta
imbottigliato, è pronto per il mercato.